“Lei ha diritto a rimanere in silenzio…”

Ernesto Miranda - Wikipedia

Quante volte abbiamo sentito la polizia ripetere queste parole nei film/telefilm polizieschi al momento dell’arresto di un sospettato di delitto?
“Ha il diritto di rimanere in silenzio. Tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei in tribunale. Ha il diritto a un avvocato. Se non se lo può permettere, gliene sarà assegnato uno d’ufficio […]”
Forse non tutti sanno che questa formula negli Stati Uniti prende il nome di “Miranda Warning” e che Miranda, lungi dall’essere una bella signora come il nome potrebbe suggerire, era invece un venticinquenne di origine messicane, Ernesto Arturo Miranda (lo vedete nella foto qui sopra) arrestato a condannato nel 1963 per rapimento e violenze su una ragazza di diciassette anni.
La vicenda giudiziaria di Miranda fu complicata in modo quasi letterario dall’iniziale difficoltà di identificarlo come l’autore dei crimini, da una confessione presumibilmente estorta e dalle accuse di violenza e brutalità che lo stesso Miranda mosse agli agenti che lo avevano arrestato. Di fatto, Miranda si fece interrogare in assenza di avvocato perché nessuno si era preoccupato di informarlo del suo diritto a non rispondere o a farlo con l’assistenza gratuita di un legale. E durante l’interrogatorio, rese una confessione che gli valse la condanna a una pena compresa tra i 20 e i 30 anni di carcere.
Ma la vicenda non era ancora chiusa. L’avvocato che gli fu assegnato per il processo, fece appello contro la sentenza presso la Corte Suprema dell’Arizona, sostenendo che se Miranda avesse avuto un legale, non avrebbe confessato il crimine. Il caso raggiunse in breve rilevanza nazionale e due famosi avvocati di Phoenix, John J. Flynn e John P. Frank, decisero di occuparsi gratuitamente del nuovo appello presso la Corte Suprema, che nel celeberrimo caso “Miranda versus Stato di Arizona” si espresse a favore di Miranda, e annullò la condanna. La Corte accertò infatti la violazione all’atto dell’arresto, del V e VI Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, in quanto non era stato dato modo all’accusato di conoscere “i suoi diritti”. (Il V emendamento stabilisce – tra le altre cose – che una persona non possa essere costretta ad autoincriminarsi per un crimine; il VI che ogni imputato ha diritto a un avvocato).
Il secondo processo ebbe luogo nel 1967, e all’accusa fu preclusa la possibilità di avvalersi come prova della confessione ottenuta illegalmente. Esistevano però altri indizi gravi e precisi a suo carico, e fu condannato di nuovo alla stessa pena. Nel 1972, rilasciato con la condizionale, cominciò a mantenersi vendendo cartoline autografate. Ormai era una celebrità. Pochi anni dopo però ricadde tra le maglie del crimine, e fu nuovamente arrestato. Morì a soli 34 anni, in libertà vigilata, ucciso in una rissa da bar.
Vicenda personale a parte, la svolta giudiziaria era segnata. La sentenza Miranda fu una conquista importante nella lotta per i diritti civili degli anni Sessanta, specie a vantaggio dei soggetti più deboli, affetti da patologie mentali o con basso livello di istruzione. Si rivelò inoltre utile strumento contro gli abusi della polizia e la loro tendenza a estorcere confessioni agli arrestati.
Altri elementi che è divertente sapere: il testo del “Miranda Warning” non è uguale per tutti gli Stati federali, perché la Corte Suprema diede soltanto informazioni di massima sui contenuti, ma non dettò mai una formula unica. Inoltre, negli Stati Uniti non deve essere pronunciato proprio in tutti i casi di arresto; per esempio non si legge a chi viene fermato per guida in stato di ebrezza o laddove si ritenga essere in presenza di un attentato alla sicurezza nazionale. Non fu letto per esempio a uno dei due responsabili all’attentato alla Maratona di Boston del 2013.
Ancora, gli arrestati sono comunque tenuti a rispondere alle domande degli inquirenti su nome ed età, ma in forza del V emendamento se anche decidono di cominciare a parlare con i poliziotti, possono in qualsiasi momento smettere di farlo. Inoltre, i diritti sanciti con il Miranda Warning operano solo dal momento in cui ci si trova sotto custodia, e non per le informazioni, anche utili ai fini del processo, rese in un momento anteriore, quando l’interrogato è ancora in stato di libertà.

E in Italia?
Il nostro sistema giudiziario ha recepito il principio del diritto all’informazione del fermato solo nel 2014, in tardiva attuazione di una direttiva comunitaria. Lo troviamo all’interno dell’articolo 63 del codice di procedura penale, rubricato “Dichiarazioni indizianti”, che attua il principio latino del “nemo tenetur se detegere”. In particolare a seguito della riforma, il nostro Codice di Procedura penale prevede ora l’obbligo per chi esegue la custodia cautelare di consegnare all’imputato copia del provvedimento che dispone l’arresto, in una lingua che gli sia comprensibile. Laddove la comunicazione scritta non sia disponibile, le informazioni devono essere fornite oralmente dagli inquirenti, obbligati a provvedere in tempi brevi alla consegna del suddetto documento. In caso di omessa comunicazione, è prevista la nullità di tutti gli atti successivi.
Il “nostro” Miranda Warning in linea teorica, è inoltre più dettagliato, strutturandosi in nove punti, tra cui il diritto a nominare un difensore di fiducia, di essere ammessi al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge, al diritto di ottenere informazione adeguata sulle accuse, ad avvalersi della facoltà di non rispondere, ad avere accesso agli atti processuali e ad informare i propri familiari.
Ma la necessità di consegnare all’arrestato un documento scritto, la cosiddetta “Letters of Rights” ci fa dubitare della effettiva valenza garantista del provvedimento, e temere che la famosa formula del Miranda Warning non venga di fatto mai pronunciata.
O forse sì?
Se siete davvero curiosi, e provate a farvi arrestare per scoprirlo, poi mi raccomando, datemi notizie.