Il giorno in cui ho detto addio alla Sardegna

Stavo chiudendo il cancello quando tra le foglie degli oleandri in gran parte sfioriti ho intravisto il sole che scendeva sull’orizzonte. Mi è sembrato pallido. E freddo. Una voce mi è giunta da un luogo imprecisato.
(Sta succedendo di nuovo?)
Ha risposto un’altra voce, come un’eco.
(Sì, sta succedendo di nuovo)
Il vento ha portato le note di una canzone, o forse le ho sentite nella mia mente.
I know it’s over, and it never really began.
Sapevo che era finita, senza che fosse mai iniziata davvero.
(Però c’è ancora tempo) mi sono detta.
C’era settembre, e poi ottobre. E a volte anche novembre sapeva regalare temperature quasi estive. In America le chiamano estati indiane, perché i nativi le aspettavano per completare le loro riserve di viveri in vista dell’inverno.
(Quindi c’è tempo)
Ma sapevo di ingannarmi. A luglio c’era ancora tempo. Tutt’al più ad agosto. C’era tempo quando l’aria era così rovente che chiudevo le finestre per non farla entrare. Quando trovavo sollievo nel ghiaccio dentro a un bicchiere. E quando di notte sentivo musica e risate arrivare da qualche festa lontana, persa sotto un cielo da cui ogni tanto capitava cadesse qualche stella. Tutto il resto era una versione sbiadita. La luce stava cambiando frequenza e spesso, verso mezzogiorno, si levava da ponente una brezza che portava un messaggio: continuerò a raffreddarmi, diceva. Dimentica il tempo dell’aria calda da togliere il respiro. Ricorda, o dimentica. Tornerà, forse. Ma per ora è finito.
Vedevo le auto dei turisti, cariche di bagagli per affrontare il rientro. Gli amici che lasciavano le seconde case. Provavo l’istinto di trattenerli. Portavano la stagione via con sé, e io non potevo impedirlo.
Una mattina di metà settembre, mi sono accorta che la spiaggia era vuota. Bianca, intatta, lisciata dal vento. E nessuno sulla riva. Nessuno in acqua. Nessuno. Mi sono sentita preda di una sensazione alienante. Non era cambiato niente, rispetto a due settimane prima, ma la spiaggia era vuota come in un sogno o in un’allucinazione.
Ero rimasta sola, a fronteggiare un silenzio offensivo.
Ho camminato sulla riva, inquieta per quella calma irreale. Ho chiuso gli occhi e supplicato di tornare indietro a uno degli istanti di luglio, in cui mi ero detta: ecco, è questo. Il momento perfetto. Voglio restare qui per sempre.
Ma gli avvenimenti ideali solo raramente coincidono con quelli reali. E per quegli strani paradossi in cui il tempo sembra ripiegarsi su sé stesso, lo specchio si è rovesciato. Ho scoperto di dover andare via dalla Sardegna.
All’improvviso e con urgenza.
A tempo indeterminato.
Piena di smarrimento, guardavo la vita che mi scorreva intorno. Ho cominciato a contare le notti che mi rimanevano. A chiedermi ossessivamente se l’indomani, a quella stessa ora, sarei stata ancora qui o già altrove, sopraffatta dal senso di perdita imminente che mi faceva apparire quel viaggio un evento irreversibile, da cui non sarei tornata. Parlavo con le persone, le vedevo assorte nelle loro vicende, preoccupate per un problema banale, o nervose per le incombenze quotidiane, come fare la spesa o sistemare il giardino. E io pensavo che avrei dato tutto per occuparmi della spesa o del giardino e di qualsiasi altra cosa, pur di rimanere. Nel frattempo, l’estate sembrava riprendere vigore e io continuavo a dirmi che non potevo partire proprio adesso; in autunno inoltrato magari, meglio ancora in inverno, ma non adesso, perché l’acqua del mare era calda, il sole bruciava ancora la pelle, e lasciare tutto era sacrilego oltre che doloroso. Come la consapevolezza che la vita avrebbe continuato a fluire, nonostante la mia assenza.

La mattina della partenza sono tornata in spiaggia.
Nel cielo di un azzurro beffardo galleggiava una nuvola immensa.
Sono entrata in acqua lanciando alti spruzzi, come fanno i bambini, e ho lasciato che le mie lacrime diventassero mare, mentre nuotavo a pelo d’acqua.
Poi sono scesa in profondità, in mezzo ai pesci e agli scogli, con i polmoni che bruciavano la mancanza d’aria e gli occhi spalancati per catturare quella visione.
O al contrario, per rimanerne catturata per sempre.
 ©EC

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